venerdì 27 aprile 2018

Non chiamatemi “tabagista”

Con la mia Dunhill Chestnut “3110”

L’unico modo per iniziare questa riflessione é quello di partire da un fatto concreto: il fumo fa male. Su questo credo ci sia poco da discutere o argomentare. Noi fumatori lo sappiamo, é una questione ormai acclarata e ne siamo più che consapevoli... Ma ce ne accolliamo con serenità l’eventuale rischio. 
Il sistema sociale nel quale siamo immersi ha iniziato già da tempo a mettere al bando gente come me, (serenamente) ingarbugliata in una passione che alla maggior parte degli esseri viventi potrà sembrare insensata ed un tantino folle. 
Ma purtroppo (o meglio: per fortuna) senza le mie pipe proprio non riesco a stare. Perchè “la pipa”, almeno nel mio romantico modo di intendere la faccenda, rappresenta ben più di un piccolo pezzetto d’arte, ben più di un manufatto nato dalle mani pazienti di un artigiano pronto a “consumarsi le dita” per renderlo unico e spesso irripetibile. 

L’acquisto di una pipa ha per me un valore quasi ludico, capace di riportarmi delicatamente verso l’infanzia, in uno di quei periodi della vita in cui si vive di pura e semplice innocenza. Prendere una nuova radica tra le mani mi lascia scivolare verso quelle sensazioni provate da bambino, quando i miei genitori (quanto vorrei che vivessero in eterno!!) allietavano le mie feste di compleanno lasciandomi scartare qualche dono nella più genuina delle emozioni...
Si, con la pipa ho riscoperto una “seconda infanzia”.
Non é un caso se qualche anno fa Cosimo, titolare di Al Pascià, si riferì alla sua bottega definendola “un negozio di giocattoli per bambini troppo cresciuti”. Mai parole furono più corrette, schiette e veritiere. 
Quindi, se c’é una cosa che proprio non riesco a mandar giù, é quella di vedere associata la mia amata passione al tanto discusso tabagismo. Sembrerò fuori di senno per quanto appena detto... Eppure, a parer mio, la pipa non ha nulla a che vedere col tabagismo in senso stretto, col quale ha solamente un piccolo elemento in comune: il tabacco. 
La cosa per chi legge sembrerà a questo punto ancor più priva di senso, ma lasciate che mi spieghi a dovere. 
Qualcuno di voi si sognerebbe mai di dare dell’alcolizzato ad un sommelier?? Sareste cosi impavidi da additare un “degustatore” di vini (o di altre bevande alcoliche) associandolo ad un ubriacone??
La risposta é no, e la trovo più che ovvia. Eppure il sommelier e l’alcolista hanno anch’essi l’alcol come elemento comune!
Allo stesso modo dell’intenditore di vini coloro che decidono di stringere una pipa tra i denti (o almeno la maggior parte di essi) lo fanno perchè spinti dalla voglia di “degustare” un buon tabacco e non dalla necessità impellente di assumere nicotina da una semplice e fugace fumata (quest’ultima la lasciamo volentieri ai compulsivi consumatori di sigarette). 
É per questo motivo che il sottoscritto non ama essere apostrofato come misero tabagista... Perchè nel mio piccolo credo di appartenere ad una categoria un pelo più elevata. Certo, non sarò considerato un intenditore nel vero senso della parola, forse non avrò mai il naso ed il palato raffinato del sommelier di cui parlavo poc’anzi ma poco importa poiché resta ferma in me una convinzione: la pipa mi ha aiutato a comprendere, passo dopo passo, che anche un piccolo pezzetto d’arte artigiana si possa (e si debba) trasformare in uno strumento di vera degustazione. 
La pipa, amici miei, é proprio questa qui.